Canapa in Italia: dalle prime coltivazioni fino ai nostri giorni
La storia della coltivazione della canapa in Italia è lunga e tormentata.
Risale al periodo dell'antica Roma, si protrae lungo il corso degli eventi e giunge fino all'età contemporanea.
Il territorio italiano, infatti, per condizioni climatiche e per specifica composizione della terra stessa, risulta perfetto per la coltivazione di questa pianta che ama il sole, il caldo, richiede acqua e umidità, terreni salmastri, argillosi e paludosi.
Le origini della coltivazione della canapa in Italia
I primi riscontri ufficiali dell'uso della canapa in Italia risalgono all'epoca dei Romani che ne esaltavano le qualità medico-farmaceutiche, soprattutto come antidolorifico e antidepressivo naturale.
Già a quell'epoca, la canapa era anche utilizzata come fibra per la realizzazione di tessuti per abiti, corde e carta.
La coltivazione della pianta in Italia perdurò per tutto il Medioevo, raggiungendo l'apice massimo con le Repubbliche Marinare che necessitavano di attrezzature e cordame per le navi e le vele.
La canapa veniva coltivata anche a scopo puramente agricolo, nonché nell'ambito della medicina e della farmacia.
La sua coltivazione era presente in tutto il territorio, concentrata maggiormente nelle zone paludose dell'Emilia e del Piemonte, ma estesa ovunque ci fosse un corso d'acqua o molto sole (quindi anche in Toscana, Campania e Sicilia).
Età moderna
La coltivazione della canapa italiana divenne sempre più massiccia, con una produzione impressionante che rese il nostro paese il secondo produttore mondiale e il primo fornitore di prodotti di canapa per le flotte della Marina Britannica.
Alla fine del 1800 molti erano gli stabilimenti industriali che lavoravano la canapa per produrne soprattutto filati e tessuti.
In linea di massima, le fabbriche venivano impiantate nelle zone limitrofe alle piantagioni stesse, per agevolare il trasporto e la raffinazione della pianta.
All'aumento delle richieste di mercato rispose, perciò, un'intensificazione della coltivazione: si conta che nel 1913 in Italia ci fossero circa 100.000 ettari di terreno coltivati a canapa.
Il primato spettava all'Emilia – nello specifico alle province di Ferrara e Bologna – ma la sua coltivazione si estese davvero su tutto il territorio nazionale, andando ad occupare un numero elevatissimo di operai, soprattutto donne e bambini.
Il fascismo e le prime mistificazioni
Con l'avvento del fascismo si assiste alla prima fase del processo diffamatorio nei confronti della canapa.
Mentre, da un lato, la sua coltivazione si rivelava particolarmente utile, conveniente ed economicamente vantaggiosa per la produzione di cellulosa (anche in ambito bellico), dall'altro cominciava tristemente a venir collegata al concetto di "droga".
Negli anni '30 il regime fascista dichiarò l'hashish – ovvero il prodotto raffinato dall'olio della canapa- una droga, nemica della razza e della patria.
Da quel momento fino ai giorni nostri, questa visione – fondamentalmente errata e fuorviante – viene sempre più comunemente condivisa: l'opinione pubblica si spacca e la canapa viene additata come pianta pericolosa.
L'arrivo in Italia delle fibre plastiche e dei tessuti sintetici (come ad esempio il nylon) decretano la fine della coltivazione autoctona della canapa.
1994 – 2022
L'aumento dei costi dei combustibili e dei carburanti, nonché la sempre maggior necessità di tutelare l'ambiente, hanno fatto sì che tutta Europa tornasse a discutere della coltivazione della canapa.
Nel 1997 la Comunità Europea ne reintroduce la coltivazione ad uso esclusivamente industriale, favorendone e finanziandone la produzione.
L'Italia, però, si contraddistingue per interpretazioni normative soggettive e caotiche, posizioni retrograde ed ottuse, concentrando il dibattito sulla differenza tra canapa indica (con alte percentuali di THC) e variante sativa (per uso essenzialmente tessile), tra coltivazione domestica ed industriale.
Nel nostro paese si sono, negli anni, susseguite leggi, circolari ministeriali, decreti della Cassazione che, a singhiozzo, hanno concesso o fortemente limitato la coltivazione della canapa sul territorio nazionale, occludendo di fatto la possibilità di crescita economica.
La legge di riferimento per la coltivazione italiana della canapa è la n.242 del 2016 che regolamenta e dispone come coltivare e raffinare la canapa nell'ambito della filiera agro-industriale.
Oggi in Italia è considerato legale coltivare canapa, ma solamente nelle varietà di canapa sativa contemplate nel "Catalogo comune delle varietà di specie delle piante agricole", con percentuali di THC comprese tra lo 0,2% e lo 0,6% e a scopo puramente industriale, come semilavorato alimentare, tessile o cosmetico, materia prima per la bonifica dei terreni, prodotto per la bioedilizia e la bioingegneria ed infine come pianta per il florovivaismo.
Esiste inoltre un altro testo normativo di riferimento: è il D.lgs. 75 del 2018, "Testo unico in materia di coltivazione, raccolta e prima trasformazione delle piante officinali" che è stato aggiornato nel 2020 con l'inserimento in elenco delle infiorescenze della canapa.